L’ARTE DEL GESTO NELLA DRAMMATURGIA E NELLA DANZA – di Daniela Scatizzi ed Eleonora Russelli

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Il gesto è da sempre stato utilizzato dall’uomo nel rapporto con i suoi simili, con le forze della natura e con Dio. Fulcro e forza primigenia, ancestrale di espressione, il gesto è stato infatti applicato nelle danze, nella drammaturgia e nei rituali di tutto il mondo e di ogni epoca. Già gli uomini primitivi usavano il linguaggio dei gesti e della mimica del volto per comunicare tra di loro. Inoltre i gesti scandivano i principali eventi vissuti dalla collettività, come la caccia, il matrimonio, il culto alla divinità. Testimonianze sono riportate dall’autrice G. Barbagiovanni nel suo Le identità del Corpo. Viaggio nell’antropologia della danza a pag.20.danza india 3

La patria del gesto, dove è stato maggiormente sviluppato e codificato, è sicuramente l’India. I gesti, chiamati Mudra, nascono qui, e costituiscono una vera e propria scienza segreta. Ne sono fondamento il trattato drammaturgico Natya sastra o Quinto Veda (i Veda sono i Testi Sacri dell’India più antica, composti forse tra il 1800 e l’800 a.C.), e l’Abhinaya Darpana (specchio dei gesti). Interessante è il teatro Kathakali, nato nella regione indiana del Kerala nel XVII secolo su ispirazione delle più antiche tradizioni.

danzatrici egiziane

Le danze e i rituali religiosi dell’Antico Egitto sono ricchi di gesti evocatori, sacerdotali, armoniosi e belli…

Di una gestualità dinamica e gioiosa sono le danze collettive e le trasposizioni sceniche dei miti a scopo didattico e di celebrazione del relativo mistero che sono testimoniate dalle pitture sui vasi della civiltà cretese e micenea. Affresco cretese

Roma e la Grecia antica approfondiscono e precisano i significati dei gesti e delle espressioni, e ci lasciano molte perle come ad esempio le opere drammaturgiche di Eschilo, Euripide, Sofocle. I Misteri di Eleusi, di Dioniso, di Cibele e Attis; i rituali del Culto Solare di Mitra, le celebrazioni solenni nei Templi in onore degli dei, le danze nelle processioni… tutti questi avvenimenti erano sempre improntati all’uso sapiente del gesto e della interpretazione a scopo catartico.

Con l’avvento del Cristianesimo poi, nasce e si sviluppa il gesto liturgico, fondato su una gestualità perfetta utilizzata da Gesù Cristo durante la sua vita. Famoso è il gesto benedicente che si vede in molte Opere d’Arte.

Cristo Pantocrator Duomo Monreale

Cristo Pantocrator Duomo Monreale

Sono gesti che hanno una certa potenza e anche oggi il sacerdote li utilizza nelle cerimonie religiose.

I gesti rivestono un ruolo importante anche nella vita quotidiana di ognuno di noi. Il tessuto dei rapporti sociali è arricchito di infinite sfumature di gesti, di atteggiamenti del viso, dello sguardo, delle mani. Si tratta di un vero e proprio linguaggio parallelo, che incessantemente opera insieme a quello delle parole e che è stato oggetto di studi approfonditi fin dall’antichità.

Botticelli-La-Calunnia

Botticelli-La-Calunnia

Ad esempio ci sono gli studi di Charles Le Brun (XVII sec) e di Lavater (XIX sec.), esperti di fisiognomica, che hanno osservato e catalogato ogni gesto, ogni mutamento del volto e dello sguardo, come espressione di tutte le possibili passioni che muovono l’animo umano. I gesti sono il riflesso esteriore di uno stato d’animo interiore. L’espressione di un sentimento si sviluppa in uno schema di movimento preciso per ogni stato d’animo: la rabbia, ad esempio, viene espressa con schemi esattamente diversi da quelli suscitati dalla gioia o dalla tristezza. Il Filosofo François Delsarte (XIX sec.) in Gaurady si esprime così: «Il gesto è l’agente del cuore, l’agente persuasivo. Cento pagine a volte non riescono a dire quello che un gesto da solo può esprimere, perché in questo semplice movimento affiora il nostro essere totale, … mentre il linguaggio è analitico e successivo… in una parola, il gesto è lo spirito di cui il discorso è solo la lettera».

espressione danza

Le espressioni di una passione o emozione appaiono in noi spontaneamente nei diversi momenti della nostra vita, quando le proviamo davvero. Si tratta di un processo naturale, che ci consente di capire ciò che gli altri stanno provando nel loro animo e come dice il famoso oratore latino Quintiliano nel suo trattato L’Institutio Oratoria (I sec. d.C): «il gesto si accorda con la voce e obbedisce al sentimento assieme ad essa», e in questo modo «lo stato d’animo si riconosce dall’espressione del viso e dall’andatura». è pertanto necessario un allenamento. Ci si può esercitare anche allo specchio, come consiglia Tommaso Palamidessi (1915-1983) per pochi minuti al giorno nello studio delle pose del proprio volto, e così conoscere ed esprimere tutta l’ampia serie di sentimenti umani. Consigliamo nell’eseguire questo esercizio di aiutarsi cercando di ricordare un evento della vita nel quale si è stati gioiosi, adirati, tristi, ecc…

Il celebre filosofo Cicerone (I sec. a.C.) scrive nel De Oratore: «La natura ha assegnato a ogni emozione una espressione, un tono di voce e gesti specifici». Il processo naturale che produce i segni di una passione sul volto e nei gesti di chi li prova, possiede però anche un’altra preziosa virtù. Non solo produce immediatamente, senza alcuno sforzo, le espressioni corrispondenti ai diversi stati d’animo, ma le rende particolarmente intense ed efficaci, dotandole di una speciale energia. Le espressioni si caricano di una forza, che verrebbe meno se ci si limitasse a fingere il sentimento che non proviamo. Un’emozione può essere rappresentata simulando la postura, i gesti che assumiamo, come abbiamo detto, quando proviamo un determinato stato d’animo. Il risultato per chi ci osserva sarà tuttavia che la nostra rappresentazione, anche se ben eseguita, non suscita nessuna emozione e pertanto risulti fredda. Per stabilire un contatto vero fra noi e il pubblico è necessario saper evocare interiormente lo stato d’animo.

danza e gesto

La semplice finzione priva le espressioni di questa energia. Ciò avviene perché il gesto ha in se stesso una sua forza, così come ce l’hanno un colore o un simbolo, una parola e anche una nota musicale, ognuno di questi segni ha una sua vibrazione e un effetto sulla nostra psiche.

Un altro esercizio utile consiste nel fare un gesto animandolo con intenzioni diverse, ad esempio posso indicare una persona con l’intenzione di intimorirla, di indicarla semplicemente, invitarla ad avvicinarsi, ecc…

A seconda dell’intenzione, la forza e il movimento del gesto sarà differente. Inoltre potremmo allenarci a compiere il gesto lentamente per prendere coscienza della sua dinamica; può sembrare banale ma se lo facciamo ci rendiamo conto di come spesso compiamo i movimenti in modo automatico. Questo metodo ci consente di rendere più chiaro il movimento quando lo eseguiamo nella rappresentazione. L’attore si può esercitare a voler trasmettere con il proprio corpo e con il proprio volto un certo sentimento come la libertà, la gioia, l’allegria, la tristezza, oppure potrebbe anche cercare di esprimere una qualità astratta come la velocità, la circolarità, l’energia. I gesti belli, armonici, puliti, vengono da un allenamento costante della mente e del corpo e li modellano secondo le loro caratteristiche, per cui è importante conoscere il significato dei gesti per utilizzarli nel modo più efficace al fine di evocare in se stessi e trasmettere al pubblico il sentimento voluto. Per fare qualche esempio, i movimenti ampi, lenti, circolari, hanno un carattere diverso dagli slanci delle braccia e di tutto il corpo verso l’alto, o da movimenti scattosi e violenti. I primi hanno il potere di calmare, di dare un senso profondo di pace e serenità, anche perché ci evocano i moti armoniosi delle forze della natura: le onde del mare o il trasformarsi delle nuvole. I secondi aprono l’animo al Cielo e hanno un carattere liberatorio; i terzi evocano invece il senso di una disarmonia e di una battaglia.

gesti e drammaIl potere di irradiare un sentimento con forza mediante un gesto o una costellazione di gesti studiati riveste una grande importanza quando, dal teatro inconsapevole della vita quotidiana, si passa alla interpretazione e rappresentazione teatrale di un personaggio attraverso la mimica, la danza, la recitazione.

In queste arti il gesto acquista tutta una speciale importanza: l’attore, il ballerino, il mimo imparano a conoscere e in seguito a riprodurre in un modo tutto personale e unico, un’ampia gamma di gesti codificati. Saranno impercettibili sfumature del movimento del collo, delle mani, sguardi, pose, gesti i più diversi.

Uniti agli altri elementi della finzione scenica, come le scenografie creatrici di atmosfere, gli abiti, i colori, le musiche, i gesti faranno vivere sul palcoscenico quel certo sentimento sia all’attore/danzatore, sia agli spettatori.

La parola ‘vivere’ sottolinea proprio quel carattere di vivezza, di magnetismo possente e trasformante che si crea sul palco per tutta la durata della narrazione, tramite soprattutto la bravura interpretativa dei danzatori e degli attori. Il senso di un evento teatrale, dunque, è prodotto dalla relazione tra gli artisti e tra questi e chi osserva.

danza classica

Rudolf Laban, famoso danzatore austriaco del XX secolo, nel suo trattato L’Arte del movimento, scrive che «Ciò che accade realmente in Teatro non avviene solo sulla scena o nel pubblico, ma nella corrente magnetica fra i due poli. Gli attori, che sul palcoscenico costituiscono il polo attivo di questo circuito magnetico, sono responsabili dell’integrità delle intenzioni secondo cui lo spettacolo è inscenato». L’empatia tra l’attore e il danzatore e chi osserva quindi non è favorita solo dalla qualità del movimento, ma anche dal soggetto teatrale che viene rappresentato; si evidenzia quindi l’importanza del valore morale, ideologico e spirituale con cui si articola una rappresentazione drammaturgica. Aristotele (384-322 a.C.) afferma: «La tragedia produce in noi, a mezzo della compassione e del timore, una catarsi», ossia una purificazione dalle passioni.

Il semiologo Umberto Eco nel 1973 definì l’attore come «un’emittente multicanalizzata di messaggi a funzione poetica». Lo spettatore, vedendo rappresentati sulla scena i movimenti possenti, passionali dell’anima, sarà portato a viverli all’interno di se stesso immedesimandosi in ciò che vede rappresentato. Così, se la magia della finzione sarà felicemente posta in essere, la sua anima si potrà smuovere così fortemente da essere alla fine liberata, purificata da quei sentimenti.

L’efficacia del processo di catarsi tramite la rappresentazione scenica, sia essa recitata, cantata o danzata, pare trovare oggi una spiegazione anche scientifica nella scoperta di quelli che sono stati chiamati i neuroni-specchio. Si tratta di una scoperta recente fatta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma. è risultato che un gruppo specializzato di neuroni si attiva nella codificazione di concetti astratti o di una certa azione sia quando è l’individuo che compie l’azione, sia quando egli la vede compiere da un altro soggetto. Questa capacità di alcune aree del cervello umano di attivarsi alla percezione delle emozioni altrui, espresse con moti del volto, gesti e suoni, renderebbe secondo gli scopritori italiani ogni individuo in grado di agire in base a un meccanismo neurale per ottenere quella che loro chiamano la ‘partecipazione empatica’, cioè un sentire come propri, e perciò comprendere, i sentimenti e le vicende dell’altro, grazie ad una vera e propria identificazione con il soggetto.

Si spiega allora come il pubblico non è più passivo o freddo ma si anima, compartecipa, soffre e gioisce davvero, contribuendo alla comprensione di quello che viene messo in scena anche grazie alla sua sensibilità e al suo grado di conoscenza. La danza, il teatro, offrono cosi la possibilità concreta di scoprire se stessi e di portare alla luce, razionalizzandoli, degli aspetti ancora latenti nell’inconscio, non del tutto risolti e generatori spesso di squilibri e di sofferenza. Altra dinamica possibile è il risvegliare in se stessi e negli altri, tramite un contenuto teatrale di un certo spessore, dei valori morali, etici e religiosi nel senso più elevato del termine, cioè sacerdotali, dignitosi, regali, oppure di combattimento per la libertà, per l’amore, per l’amicizia.

L’attore e teorico di teatro Orazio Costa (1911-1999) così si esprimeva: «Se sapete che il vostro strumento siete voi stessi, conoscete anzitutto il vostro strumento, consapevoli che è lo stesso strumento che danza, che canta, che inventa parole e crea sentimenti. Ma curatelo come l’atleta, come l’acrobata, come il cantante; assistetelo con tutta la vostra anima, nutritelo di cibo parcamente, ma senza misura corroboratelo di forza, di agilità, di rapidità, di canto, di danza, di poesia. Diverrete poesia aitante, metamorfosi perenne dell’io inesauribile, soffio di forme, determinati e imponderabili, di tutto investiti, capaci di assumere e di dimettere passioni, violenze, affezioni, restandone arricchiti e purificati…tesi alla rivelazione di quel che l’uomo è: angelo della parola, acrobata dello spirito, danzatore della psiche, messaggero di Dio e nunzio a se stesso e all’universo di un se stesso migliore».

Isadora Duncan

Isadora Duncan

Molto interessante è il pensiero della rivoluzionaria danzatrice americana Isadora Duncan (1878-1927) che nel suo L’Arte della Danza afferma: “Possiamo distinguere tre tipi di danzatori e danzatrici: in primo luogo quelli che considerano la danza una specie di ginnastica, fatta di arabeschi eleganti ed impersonali; poi coloro che, concentrandosi, abbandonano il corpo al ritmo dell’emozione che sentono di voler esprimere, e comunicano così un sentimento o un’esperienza vissuti. Infine ci sono coloro che, consegnandosi all’ispirazione dell’anima, trasformano il corpo in una materia fluida piena di luce. In quest’ultimo caso chi danza sa che il corpo, se sostenuto dall’anima, può realmente trasformarsi in un fluido luminoso. Pensate allora alla danzatrice e al danzatore che, dopo aver dedicato molto tempo allo studio, alle preghiere e all’ispirazione, è riuscito/a a raggiungere un livello tale di consapevolezza che il suo corpo diventa essenzialmente la manifestazione luminosa della sua anima; e, attraverso il corpo, l’anima danza in armonia con la musica ascoltata interiormente, espressione di qualcosa di un altro mondo, più profondo. Quelli sono il danzatore o la danzatrice veramente creativi, naturali ma non imitativi, poiché comunicano con i movimenti che provengono da dentro e da una realtà più grande di tutti”.

Un gesto dunque è l’espressione esteriore di un movimento interiore, questo inevitabilmente comporta che se io eseguo un gesto questo avrà a sua volta un riflesso nella mia interiorità e in quella altrui. Voglio aggiungere adesso un altro fattore: è molto importante riuscire a non immedesimarsi nel sentimento, nella passione rappresentata ma, pur avendone esperienza e trasmettendola in modo reale e vivo, totale, restarne liberi: «Il gesto attira o emette delle forze, la posa lo stesso. Uno può posare per l’ira, uno può posare per la serietà, uno può avere una posa per l’amore, tutti i vari sentimenti e passioni si possono posare, se ne può prendere padronanza, non diventarne schiavi, conoscerli bene» (A. Benassai).

A tale proposito è emblematico un aneddoto riguardante Esopo, famoso attore tragico greco del primo secolo a.C., che testimonia lo stato profondo di esaltazione che poteva essere raggiunto dall’interprete durante una rappresentazione. Un giorno stava interpretando in teatro la parte di Atreo. Arrivato al passo in cui il re medita sul modo di vendicarsi di Tieste, la commozione lo portò fuori di sé a un punto tale che batté con lo scettro uno dei servi, il quale gli passava davanti in corsa, e lo ammazzò. E ancora, ci è rimasta la descrizione di un danzatore che dovendo recitare sulla scena la furia di Aiace si era esaltato tanto «che qualcuno avrebbe potuto pensare che non stesse recitando la follia, ma che fosse egli stesso folle». Lacerò la veste a un suonatore che batteva i colpi con la suola di ferro e, dopo aver strappato il flauto a uno dei musicisti, lo spezzò sulla testa di Odisseo che se ne stava lì vicino, tutto pieno di orgoglio per la vittoria. Se il cappello non avesse opposto resistenza assorbendo buona parte del colpo, lo sventurato Odisseo sarebbe morto solo per il fatto di aver incontrato un pantomimo impazzito. Naturalmente non possiamo sapere se questi episodi siano stati veri o falsi. Ma solo il fatto che venissero conservati e tramandati nel tempo indica la continuità, nella cultura del mondo antico, di concepire la recitazione associandola a uno stato di profonda esaltazione emotiva.

Invece è molto importante restare liberi dal personaggio, pur incarnandolo con il massimo vigore e senza limitazioni, con gesti e atteggiamenti carichi di intenzionalità e di forza; allora conoscerò in profondità il personaggio, con tutte le sue passioni, emozioni e drammi che potrò esprimere a scopo catartico agli spettatori, ma non ne sarò schiavo, anzi la conoscenza mi aiuterà a individuarle in me stessa, a riconoscerle sempre meglio e averne perciò sempre più il controllo, la padronanza.

3 pensieri su “L’ARTE DEL GESTO NELLA DRAMMATURGIA E NELLA DANZA – di Daniela Scatizzi ed Eleonora Russelli

  1. Articolo ricchissimo di spunti di riflessione..è bellissimo vedere come gli studi che facciamo siano tutti collegati ed animati dallo spirito della conoscenza e della ricerca..grazie per questo avvincente viaggio nel mondo della gestualità!!

    • Grazie Marco, continueremo ad approfondire, magari insieme alle valentissime Valentina Palmucci e Claudia Ghetti; ad esempio i neuroni specchio celano ancora tante sorprese…A presto !!

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